Festa Titolare Contrada della Lupa

DOMANI SI GIRA

Ognuno di noi senesi si è trovato nei panni del cicerone, in compagnia di amici provenienti dalle regioni più disparate d’Italia e del mondo, girovagando tra i vicoli della nostra città, così angusti, così intimi: il luogo perfetto in cui cercare di spiegare l’essere e sentirsi senesi e contradaioli.

Le prime domande di questo gruppo di ascoltatori, solitamente, si accavallano e si accendono − in un crescendo di stupefatta incredulità – intorno al nostro magnifico Palio, alle sue suggestioni di guerra, di gioie pazze e di altrettanto travolgenti disperazioni, ai riti mescolati di popoli, cavalli, sudore, sacro, profano. Tuttavia, se l’amico turista è abbastanza sensibile e altrettanto curioso, raccontare di Palio non basta a dare risposta alla domanda delle domande: “Perché”? Perché tutta questa assurda costruzione umana concentrata in un unico punto del mondo?

In questo esatto momento della conversazione ognuno di noi smette di parlare, sospira (perché sa che il discorso sarà lungo…) e inizia un racconto diverso, più introspettivo e riservato: inizia a parlare di Contrada e dell’incredibile romanzo, lungo interi secoli, le cui pagine sono ancora in corso di scrittura. Parla di quella vita, all’interno della vita, che ci rende quello che siamo, partendo da un battesimo laico (ma non troppo) avvolti in un fazzoletto colorato simbolo di identità e appartenenza indissolubile e che si sviluppa in momenti di comunitaria familiarità, disegnando un romanzo di formazione collettivo che ha tratti di assoluta unicità.

La Festa Titolare è forse il culmine di questa vicenda umana. È il giorno in cui un intero popolo si riversa nelle sue strade antiche con un’operosità che si fa fatica a trovare altrove. Nessuno è in disparte, ognuno ha un ruolo in commedia. La Società è piena a qualunque orario e raccoglie gruppi di lavoro in cui l’adolescente e l’anziano discutono dei Palii appena trascorsi e al contempo decidono della disposizione dei tavoli, senza mai cessare di prendersi in giro l’un l’altro. La cucina trabocca di richiami e grida belluine, mentre qualcuno passa sottraendo di frodo un crostino. I ragazzi sono ovunque, fra un tamburo da tirare e le ultime bandiere da issare nei vari e impervi spigoli del rione. I bambini mettono a dura prova il pratino di Fontenuova galoppando sulla pista che a sera li vedrà competere per un cencio. Don Sergio tira a lucido la fontanina per i battesimi pomeridiani e ad ogni passante che lo saluta risponde con il consueto “Evviva!”. È una sorta di orchestra che suona senza bisogno di prove, e che non stona mai. E non le serve direttore, perché è la vita che ha insegnato ad ognuno la parte. E partecipare alla sinfonia è il più grande atto d’amore che si possa fare a questa lunga storia di gente qualunque che, insieme, forma una comunità impossibile a credersi.

All’interno delle stanze di Contrada, una penna d’altri tempi completa gli svolazzi sulle pergamene dei battesimi, mani di madri e di nonne spianano le ultime pieghe su una distesa sconfinata di monture. L’oratorio non è mai stato così splendente. Il vestito più bello è pronto per essere indossato.

A questo punto il narratore si è perso, ha divagato sulle ali del romanticismo: quel genere di romanticismo che si prova solitamente prima di andare a dormire la notte prima del Giro, guardando nel silenzio della notte quanto è bello il proprio rione durante la Festa Titolare. Il gruppo di amici si è zittito e ci guarda con un’espressione strana. Forse si sono persi anche loro, forse non capiscono. Forse sono colpiti dal fatto che l’identità di un singolo si tramuti in una vicenda umana così varia, complessa, in una matassa di voci e aneddoti e sogni così variegata e indistricabile. Il senese torna in sé, sorride vedendo il sorriso degli altri e li invita a cena in Contrada: bisogna vederle con gli occhi certe cose. Appuntamento prima del ricevimento della Signoria, cena veloce e poi di corsa a guardare il Palio dei cittini. Ma poi tutti a letto presto: domani si gira.

Guido Bruni e Alessandro Gronchi

SANTO PATRONO CONTRADA DELLA LUPA

La Festa titolare della Contrada della Lupa viene celebrata in onore di San Rocco confessore. Nella liturgia della Chiesa Cattolica ricorre il 16 agosto. A causa dello svolgimento del Palio viene celebrata come di consueto l’ultima domenica di agosto.

L’Oratorio di San Rocco Confessore fu edificato a partire dal 1511 dalla compagnia laicale di San Rocco. Soppressa la compagnia nel 1789, l’edificio passò alla Contrada della Lupa, che ne detiene ancora la proprietà.

La facciata è semplice, in mattoni, ma decorata da un oculo, da una seicentesca statua di San Rocco, da un portale timpanato in travertino, da lesene e da un frontone che corona il complesso.

L’aula è absidata, divisa in due campate e completamente affrescata con Storie di Giobbe ad opera di pittori senesi del Seicento. L’attiguo cappellone di San Rocco, nel quale è conservata la cinquecentesca statua del santo titolare in terracotta policroma di ignoto autore, è degno di nota per il ciclo decorativo di affreschi raffiguranti Storie di san Rocco, i cui autori furono Crescenzio Gambarelli e Rutilio Manetti.

All’esterno dell’edificio è posta una colonna con la lupa romana, donata dal comune di Roma. A fianco dell’oratorio sorge la sede storico-museale della Contrada della Lupa, che utilizza la chiesa come proprio oratorio. La fontanina battesimale è opera dell’architetto Giovanni Barsacchi, con una lupa in bronzo realizzata da Emilio Montagnani nel 1962.