Festa Titolare Contrada della Tartuca
L’azzurro splendente del cielo con l’oro brillante del sole
L’inizio del nostro inno è l’immagine che mi accompagna ormai da anni, ogni seconda domenica di giugno, quando la mattina presto ( “troppo presto” mi ripeto ogni volta) entro in via delle Murella, che si presenta deserta, con i relitti e ancora gli odori della nottata di canti e gotti appena trascorsa; proprio mentre il sole che domina un cielo azzurro terso comincia a scaldare le pietre che mi hanno visto crescere, io mi incammino per andare a monturarmi per il giro con qualche antidolorifico in tasca, fedele compagno di viaggio.
Per la mia Contrada, la Festa Titolare resta ancora una delle poche cose che con il passare degli anni è rimasta intatta, avvolta in quella magia di una festa antica di rione: magari perché è l’unica sera in cui riviviamo la strada dove siamo cresciuti e che una volta era cuore pulsante della Contrada, magari perché ci da la consapevolezza che il giugno tartuchino sta per cominciare e che fino al palio sarà un continuo stare insieme, comunque in quella sera c’è tutta l’essenza dell’appartenenza alla Tartuca e dell’amore per essa, sentimenti che mi accomunano a ogni persona che capita di incontrare e salutare per le strade del mio rione.
Dalla mattina la strada è invasa di gente e i braccialetti e le bandiere fanno da cornice ed un incredibile via vai: gli economi e il Seggio si preparano per andare ai cimiteri e i bambini osservano i grandi che montano il palio dei barberi o i banchini e le loro voci – felici e frenetiche – mi fanno compagnia, mentre mi dedico ad accordare e preparare i tamburi per il giorno dopo, sempre con la stessa pignoleria di diversi anni fa, quando ho cominciato.
Il pomeriggio vola, spiegando le ali tra la cerimonia di ingresso dei dodicenni nella compagnia militare di Porta all’Arco e il momento del battesimo contradaiolo, tra il giro del rione, il ricevimento della Signoria a Sant’Agostino e il solenne mattutino, ma poi – mentre le luci dei braccialetti brillano come stelle in un cielo che si tinge di un blu intenso- comincia la vera e propria festa. La strada prende vita e si anima, la gente mangia all’osteria (che per anni ho avuto il piacere di mandare avanti con i miei amici), speluzzica un manicaretto al banchino dei dolci delle donne, compra un biglietto al palio dei barberi e poi passa tra i banchini dei più giovani; i trombettisti della banda passano su e giù per le Murella prima di fermarsi all’osteria, per cominciare a suonare il repertorio, dalla “ricciolina” alla marcia del palio, accompagnati dai nostri canti. Ricordare questi canti, però, diventa per me l’occasione di ricordare un grande senese e un grande contradaiolo quale era Adù Muzzi, che la contrada l’ha insegnata a tante generazione attraverso l’esempio concreto, che fino ogni anno, alla fine della cena della Signoria, arrivava immancabilmente all’osteria, prendeva una sedia e si metteva a cantare, chiudendo con i suoi cavalli di battaglia, ovvero “ profumate son le margherite” e “caterinella mia” e finiva per trascinare tutti, come sempre. I canti, le risate proseguono fino a tarda notte e mischiano generazioni diverse, coinvolgono i dirigenti, i maggiorenti e in ogni parola, in ogni momento ci sentiamo tutti parte di una grande famiglia: questa forse è l’immagine che più di ogni altra descrive l’essenza dell’essere contradaiolo. Poche ore di sonno e torniamo alle righe iniziali di questo articolo, mi avvio all’economato e mentre mi ripeto che era meglio andare a letto un quarto d’ora prima, ho già il tamburo in mano: comincia una giornata stancante, ma bellissima, puntualmente caratterizzata dalle solite frasi “Questo è l’ultimo, il prossimo anno non giro!” oppure “ragazzi ve lo dico, io ho dato, il prossimo anno appendo le mazze al chiodo!” e da varie lamentele sulla comodità delle scarpe e sulla fatica, tutte smentite quando al rientro in contrada, la chiesa ci accoglie e si canta il Te Deum. Usciti di lì il pensiero va immediatamente alla prossima Festa Titolare e la stanchezza colossale viene superata subito dalla voglia di ricominciare a suonare il tamburo e girare la bandiera.
Ho sempre vissuto questi giorni con emozioni e gioie diverse, prima da bambino, poi da bordello, da economo, da tamburino di Piazza, da maestro dei tamburini, da babbo che si appresta a battezzare le sue bambine alla Fontanina, e in ognuna di queste vesti ho sempre avuto come denominatore comune delle emozioni l’impazienza di vivere la Festa Titolare. Oggi però, mentre il calendario si avvicina inesorabilmente al 13 di Giugno, sento che la tristezza che già da tempo mi accompagna, si fa più forte. Forse è vero, forse ha ragione chi dice che il prossimo anno tutto questo avrà un sapore diverso, che sarà più intenso, magari più bello, forse..quello che oggi so, è che nessuno potrà ridarmi le emozioni che quest’anno non potrò vivere e che quando la mattina del 13 passerò dalla Fontanina, la mia strada bellissima, ma silenziosa, scaverà un vuoto incolmabile nel mio bagaglio emozionale.
Cesare Guideri
SANTO PATRONO CONTRADA DELLA TARTUCA
La Festa titolare della Contrada della Tartuca viene celebrata in onore di Sant’Antonio da Padova. Nella liturgia della Chiesa Cattolica ricorre il 13 giugno; Sant’Antonio da Padova è patrono del Portogallo, del Brasile e della Custodia di Terra Santa, oltre che di numerose città.
In origine gli appartenenti alla Contrada della Tartuca si riunivano nella Chiesa di S. Ansano, proprietà dell’Opera della Metropolitana, per eleggere il Priore ed il Consiglio e per nominare il Capitano e l’Alfiere che guidavano la Contrada nelle manifestazioni ludiche, sotto l’emblema di una tartaruga ed i colori giallo e nero. In lite con il Rettore dell’Opera, nella seconda metà del Seicento, i tartuchini comprarono una casa situata a metà di Via delle Murella (oggi Via Tommaso Pendola), dove aveva abitato la mistica senese Caterina Vannini, e vi costruirono il loro Oratorio dedicandolo a Sant’Antonio di Padova.
La prima pietra per la costruzione dell’Oratorio fu posta il 27 giugno 1682 ed i lavori terminarono nel 1685. Nel giugno 1686 vi fu celebrata la prima Festa Titolare. L’Oratorio è stato luogo delle adunanze dei tartuchini fino a quando dalla sua cripta venne ricavata l’attuale “Sale delle Assemblee” (1961).
All’Oratorio è annesso il Museo degli Arredi Sacri: in questa sezione, inaugurata nel 2008, sono conservati oggetti dei secoli XVII, XVIII e XIX come paramenti, paliotti, paci, calici, reliquiari e altri oggetti per gli uffici religiosi, insieme ad alcuni sonetti stampati in occasione delle Feste Titolari. Di particolare importanza alcune pianete finemente ricamate, una Croce reliquiario del 1624, un Ostensorio del 1747 e l’Urna di S. Concordia realizzata da Agostino Fondi nel 1711.
Al piano inferiore si possono ammirare importanti manufatti di scuola senese: alcune antiche mute d’altare, due angeli in legno dorato e dipinto, già dono dei tartuchini alla chiesa di S. Ansano (1620) e i festoni lignei opera di Antonio Vignali (1699) per addobbare l’ingresso dell’ Oratorio. In un apposito spazio sono inoltre conservati gli oggetti appartenuti a Caterina Vannini.
L’originaria Sacrestia dell’Oratorio ospitò, nel 1825, le lezioni di Padre Tommaso Pendola ai ragazzi sordomuti, prima della fondazione del suo omonimo e celebre Istituto.
IL GIORNALINO