Festa Titolare Contrada Sovrana dell’Istrice

Era da poco scoccata la mezzanotte e, al Leone, con tanti istricialioli brindavamo al novo anno; eravamo, tutti più o meno, strasicuri che il 2020 sarebbe stato un anno straordinario, per non dire unico, pieno di sorprese.

Magari  non come lo sognavamo noi, ma non possiamo negare  né che non sia stato unico e neppure che son mancate le sorprese in questo 2020!

Tra i canti di Contrada che noi e le altre Consorelle spesso intoniamo, ce n’è uno che dice “Chi tocca un contradaiolo cazzotton e legnate nel groppon”. Ebbene si, dobbiamo ammetterlo, tutti indistintamente quest’anno siamo stati invece un po’ “cazzottati” e “legnati”, non tanto fisicamente quanto nella necessità, pur vissuta con grande serietà e responsabilità, di rinunciare al nostro consueto modo di scandire il trascorrere del tempo come senesi e contradaioli.

No, no, non è stata colpa di nessuno in particolare – anche se di minacce ne subiamo sin troppe e tutte fuori luogo -, ma di una microscopica entità biologica comunemente detta “virus”, che in quattro e quattr’otto ha invaso il mondo e lo sta tuttora “pillottando” di nocchini.

E così, come già avvenuto in altre Consorelle, saremo costretti, per quest’anno, a fare a meno di tanti bei momenti che arricchiscono la nostra Festa Titolare. Ci sarà la celebrazione del Mattutino, ma informa ridotta rispetto agli altri anni, e non vedremo transitare per le vie del Rione tamburi e bandiere come invito per tutti a gioire ed a partecipare alla Festa.

Non ci potremo accalcare per le vie del Rione a gustare un bicchiere di buon vino od il fresco di una fetta di cocomero; oppure sperare che il biglietto preso alla pesca di beneficenza ci consenta di vincere un oggetto un po’ più presentabile di quello dello scorso anno.

Non vedremo i nostri bambini, con i giubbetti delle contrade, correre a perdifiato tra Camollia e Pignattello per contendersi la vittoria del Palio e l’assegnazione del tanto agognato drappellone, realizzato in maniera mirabile dalla Seggioloni o da qualche altro artista nascente.

Ci mancherà soprattutto il Giro, la confusione degli alfieri che di prima mattina si accalcano sotto la finestra dell’Economato in attesa che qualcuno cali loro la bandiera, mentre i tamburini, tra il frastuono dei rulli, cercano di registrare l’accordatura ai propri tamburi.

Ci mancheranno i festosi incontri con i Dirigenti ed i contradaioli delle Consorelle nel momento in cui andiamo a rendere loro omaggio.

Ci mancherà l’interminabile fila di carrozzine e passeggini e la moltitudine di contradaioli che, al canto “Istrice nostro dai quattro colori” accompagnano la Comparsa nel suo rientro in Contrada.

Ci mancheranno la stanchezza, il gonfiore dei piedi, le vesciche nelle mani ed il dolore delle braccia e delle gambe.

Io poi, da quando avevo 8 anni non ho saltato un giro; e se non fosse stato per il “virus”, sarei stato onorato di indossare per il 35° anno la montura e sventolare quella bandiera, dall’asta sempre più pesante, ma che quando sventola nel cielo riesce ad emanare un suono così lieve e armonioso da far tremare ogni centimetro del tuo corpo.

Comunque da senesi e contradaioli quali siamo, non c’è “virus” che tenga e siamo certi che l’anno prossimo torneremo a scandire il tempo nel giusto modo, ancor più fieri della nostra Storia e della nostra unicità quali cittadini d’Italia e del mondo. Arrivederci all’anno prossimo!!!!

Andrea Pagliantini

Emiliano Muzzi e Andrea Pagliantini

SANTO PATRONO CONTRADA SOVRANA DELL’ISTRICE

La Festa titolare della Contrada Sovrana dell’Istrice viene celebrata in onore di San Bartolomeo Apostolo. Nella liturgia della Chiesa Cattolica ricorre il 24 agosto.

La prima sede degli Istriciaioli ,intorno al 1623, fu la Cappella della Visitazione al Tempio della Beata Vergine Maria, detta “di San Donnino”, costruita fra il 1523 e il 1526 a fianco della chiesa di San Pietro alla Magione, a quel tempo sede dell’Ordine Gerosolimitano. Nei primi anni del ‘700, gli Istriciaioli furono ospiti della chiesa della Confraternita di Fontegiusta dove ebbero il permesso di costruire un proprio altare. All’inizio i rapporti furono cordiali, tanto che la Contrada donò alla Confraternita i 50 talleri della vittoria del Palio del 1709, ma in seguito sorsero dissidi che la indussero a lasciare Fontegiusta. Nel 1733 la Contrada ebbe il permesso di trasferirsi nella chiesetta di San Bartolomeo alla Castellaccia,ora non più esistente, subito all’interno della Porta Camollia, e nel 1737 ottenne la restituzione dei drappelloni dei Palii vinti che erano rimasti in Fontegiusta. Nel 1788, viste le pessime condizioni in cui versava la chiesetta di San Bartolomeo, gli Istriciaioli chiesero ed ottennero l’uso della chiesa di San Vincenzo e Anastasio, la cui Parrocchia era stata soppressa qualche anno prima, e qui vollero continuare la loro devozione a San Bartolomeo.

La costruzione e consacrazione di questa chiesa risale al 1144; nei secoli ha subito notevoli trasformazioni compreso il tamponamento della facciata e l’apertura nel ‘700 di un nuovo ingresso fianco sinistro prospiciente via Camollia. Il campanile, fortemente danneggiato dal terremoto del 1869, fu abbattuto e ricostruito nel 1871 su disegno di Giuseppe Radicchi. All’interno la chiesa probabilmente rimase nello stile romanico di origine fino ai primi del ‘700, quando il terremoto del 1697 e la moda imperante del barocchismo ne imposero un restauro integrale. Altri interventi del 1850-1852 e del 1909 ce lo hanno consegnato, approssimativamente, così come lo vediamo oggi. Sull’Altare Maggiore si può ammirare un grande ciborio con due angeli portacero, tutto in legno intagliato e dorato a oro zecchino (1711). La nicchia dell’abside è decorata da un affresco a tempera monocromo di Carlo Amidei (1745) raffigurante lo Spirito Santo con i Santi Vincenzo e Anastasio sullo sfondo di strutture architettoniche. Nell’altare di sinistra è posta la tavola a fondo oro raffigurante la “Madonna col Bambino fra Sant’Antonio Abate e San Bernardino e due angeli”, opera di Sano di Pietro (1406-1481). Nell’altare di destra, la statua lignea di San Bartolomeo , opera di Torquato Casciani (1932). Alle pareti, in cornici di stucco , quattro tele: una “Santa che distribuisce le ricchezze ai poveri”(scuola di Rutilo Manetti, XVII sec.), una “Madonna col Bambino e San Giovannino” (attribuita ad Alessandro Casolani o bottega del XVI secolo), la “Madonna Immacolata” realizzata fra il 1850 e il 1852 dal pittore Istriciaiolo Giuseppe Faiticher, e una tela raffigurante “San Girolamo”, opera di scuola senese del XVII secolo. Nella cantoria, un organo italiano del XVIII secolo, recentemente restaurato. Nelle pareti, in alto, una serie di grandi bracciali in legno scolpito e dipinto destinati, in passato, a contrassegnare i confini della Contrada, e alcune vecchie bandiere del XIX e XX secolo. Le pareti sono anche decorate da una numerosa serie di piccole tabelle in legno o in gesso sulle quali sono dipinti gli stemmi di famiglia dei Protettori del (XIX e XX secolo). Una lapide del 1830 ed un busto ricordano che in questa chiesa fu tumulato, nel 1513, il pittore Bernardino di Betto detto Pinturicchio.

Nella piccola sacrestia adiacente, si conservano i calici ,ampolle e altri preziosi oggetti di culto e corredo liturgico, fra i quali un antico piviale del XVII secolo. Alle pareti, una tela con “San Bartolomeo” del XVII secolo e quattro tele di scuola napoletana: “L’Immacolata Concezione con San Gennaro e San Nicola di Bari” ( cerchia di Francesco Solimena , 1657-1747), un ritratto di prelato attribuito a pietro Bardellino (1728-1810), la “Sacra Famiglia con San Giovannino ” (cerchia di Francesco De Mura,1696-1782) e “San Carlo Borromeo “, firmato e datato da Paolo De Majo,1771. Nel centro del pavimento è posta la lastra tombale incisa del cavaliere Luigi de Chamenet, morto per la “peste nera” del 1348.

IL SONETTO